Fantasmi a Ferrania è una indagine, uno scavo e una esplorazione.
Fantasmi a Ferrania si sviluppa e racconta attraverso la ricognizione storica, l’osservazione della contemporaneità, lo specifico filmico e fotografico. Ciascuno di questi ambiti semantici rappresenta un percorso relativo a Ferrania, che è oggetto complesso e stratificato (inteso appunto come fabbrica, luogo, storia, relazioni, prodotto, brand).
L’obiettivo è far convergere questi percorsi in un unico scenario narrativo.
Raccontare Ferrania è un modo per raccontare un territorio, è un modo per descrivere un secolo, il ‘900, ed è anche il tentativo di rappresentare un processo, quello industriale, che in Val Bormida – affiancando e sostituendo il lavoro agricolo – ha creato numerose realtà industriali, garantendo lavoro e benessere, sì, ma a costi altissimi: per l’ambiente e la salute dei suoi abitanti. Fatalmente, con la chiusura della maggior parte degli impianti industriali della vallata, si è generato un enorme vuoto che oggi pervade questo territorio.
Ma il film è una esplorazione soprattutto attraverso i volti di tre reduci dell’esperienza Ferrania, Alessandro Marenco, Andrea Biscosi e Alessandro Bechis: tre uomini ancora in età da lavoro e che in Ferrania hanno passato venti anni di vita e che, con la fine di tutto, hanno dovuto cercare una nuova direzione.
Loro sono custodi del percorso di una fabbrica che produceva la materia prima del cinema (non i sogni, la pellicola…) ed in quanto tale sfuggente ed evanescente come l’emulsione fotosensibile.
In questi tre volti lo sguardo della macchina da presa cerca la dignità di chi è stato abbandonato ma non si è fermato, ed ha anzi dovuto ricominciare tutto da capo, senza essere stato risarcito.
Chi ha lavorato in Ferrania è stato tradito dal tracollo di un’età industriale e dalla fine di un’epoca, che era piena di fiducia, forse anche superba , ma che presto si è tramutata in un presente senza futuro, contrassegnato dalla desolazione della disfatta.
I nostri tre protagonisti in questo panorama sono illuminati dal loro impegno quotidiano nel cercare una nuova dimensione esistenziale così come una rinnovata dignità per Ferrania. Anche attraverso una messa in valore di quel passato industriale, umano e collettivo che ha attraversato una intera valle.
I segni di quel passato sono le prove di una stagione prospera ed illusa, tanto feroce ed autoritaria quanto distratta e frivola: e quei segni sono immagini. Statiche o in movimento, ufficiali o intime, ci parlano di una comunità proterva e florida, ma al tempo stesso cinica e servile, in marcia verso il progresso ed il futuro.
In questo bailamme di materiali e reperti, a volte perfettamente archiviati e conservati, più spesso disordinatamente dispersi e scompaginati, affiorano la bellezza, l’incanto e la poesia, l’ironia e lo sberleffo, il gioco e l’intelligenza. A volte, la verità, negli occhi di un fantasma. Sguardi a un tempo atroci ed incantevoli.
Il film è anche un percorso attraverso la moltitudine delle voci di ex lavoratori ferrania.
Questa moltitudine di testimonianze, plurali, contraddittorie, ricchissime, ci accompagnano in una esplorazione del territorio valbormidese, colorandolo di inaspettate percezioni e stratificazioni. Si tratta di un coro, ovvero delle voci dei fantasmi di Ferrania, vive e presenti pur se rarefatte ed evanescenti.
Il film cerca il suo punto di equilibrio tra la rappresentazione dell’oggi ed il racconto del passato, in un dialogo tra le testimonianze e i repertori, perché è qui, in questi passaggi, tra questi fotogrammi che giace il cuore del film ed il suo senso più profondo.